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Rione VIII  S. Eustachio

 

 

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Lo stemma di Sant’Eustachio, ottavo rione di Roma, è una raffigurazione singolare: un cervo con una croce tra le corna, racchiuso in un piccolo rettangolo. L’origine sta in una bella leggenda cristiana: Placido, ufficiale sotto Traiano, mentre andava a caccia sui monti della Mentorella sopra Palestrina, s’imbatte in un cervo che fra le corna portava il volto del Redentore. Scosso dalla visione, si convertì prendendo il nome di Eustachio e fu martirizzato con la moglie e i figli. La sua casa fu poi trasformata nell’omonima chiesa; e il volto di Cristo fu sostituito nello stemma dal simbolo della croce. In epoca pre-romana e romana, qui si estendevano i "Prata Flaminia", una valle lacustre da cui affioravano isolotti, con un va-e-vieni d’acque non dissimile da quello, ben più noto e tuttora esistente, del Mont-Saint-Michel in Francia. La morfologia del terreno ha prodotto il toponimo locale di "Valle", che caratterizza molte cose del rione: chiese, palazzi, la famiglia Della Valle, il teatro. La meraviglia della zona si trovava sotto l’attuale Sant’Eustachio: le terme di Nerone, le seconde per grandezza tra quelle costruite a Roma in tutta l’antichità. Per farsi un’idea della loro grandiosità, basta osservare le due colonne rimaste (le terme ne avevano 150), estratte da Alessandro VII Chigi per restaurare il portico del Pantheon. Sant’Eustachio è un rione di personaggi che hanno fatto epoca. I fantasmi di alcuni di loro, stando alle locali tradizioni, frequenterebbero abitualmente la zona. Pietro Della Valle, uno dei più noti, fu un tipico viaggiatore del ‘700, di schietto carattere romano. Amante delle donne, dal lungo peregrinare in Oriente si portò a casa Goideida, bellissima georgiana che aveva sposato a Baghdad. Il fatto in sé non avrebbe nulla di strano, se non che la donna arrivò a Roma in veste di mummia, fasciata di bende d’oro: era morta durante il viaggio e venne sepolta all’Ara Coeli, dove esiste ancora la tomba. Via dei Redentoristi ancora porta l’eco del "lasciatemi divertire!" di Aldo Palazzeschi, che a Roma visse oltre quarant’anni e a Roma dedicò un romanzo. Ottantenne, percorreva ancora la via con passo svelto e giovanile. Di queste parti è anche Giovanni Giraud, estroso commediografo e narratore di vita popolare romana. Di lui restano due memorie: una lapide nel piccolo portico della chiesa di Sant’Eustachio e lo scandalo della Banca Romana, da lui fondata nel 1835, quando la vena letteraria si era esaurita. La banca stampava carta moneta, fino a quando, nel 1893, si scoprì che faceva circolare doppi biglietti che avevano lo stesso numero di serie. Altro toponimo importante del rione è "Argentina". Non c’entra nulla con lo stato sudamericano, ma deriva dal titolo di cui si fregiava il Burcardo, ricco e colto prelato vissuto sotto il pontificato di Alessandro VI Borgia. Era il vescovo della sua città nativa, la tedesca Augsburg. La città aveva più nomi latini, tra cui "Argentum", per cui il prelato si faceva chiamare "episcopus argentinus". Sulla torre in cui abitava fece scolpire a grandi lettere il nome "Argentina", che restò in eredità a Roma e che oggi avvertiamo come uno dei più ‘romani’ tra i toponimi della città.