ROMA SPQR

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Rione VII  Regola

 

 

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Il nome del VII rione di Roma - Regola - proviene da "Arenula", l'arenile del fiume cui è dedicata la via principale: Da "Arenula" è derivato "Rèola" e poi "Regola". E' il regno della cucina romana: qui si possono gustare i veri carciofi alla giudìa o i filetti di baccalà, nonché la celebre 'coda alla vaccinara', un'icona della gastronomia capitolina. Qui le vacche erano di casa, poiché la sponda del Tevere pullulava di conciatori di pelli vaccine, tratte dall'animale dopo la mattazione. Molti illustri personaggi nacquero o vissero nel rione, a cominciare da Cola di Rienzo, figlio di Lorenzo e di Maddalena, mugnai e tavernieri. A dispetto della storia, che ne fece nel 1347 un 'tribuno del popolo romano', si racconta che nelle sue vene scorresse sangue imperiale. Leggenda vuole che nel 1312 l'imperatore Enrico VII, mentre era a Roma per l'incoronazione, girasse una sera in incognito e, per sfuggire ad un agguato, si rifugiasse nella locanda di Lorenzo alla Regola. L'oste era assente ed Enrico ingannò l'attesa intrattenendosi con Maddalena. Sarebbe stato così concepito Cola, che in effetti si distingueva tra i popolani per sapienza e per l'alta figura nobile e austera. Al civico 113 di largo Benedetto Cairoli abitò l'eroe risorgimentale cui la stessa piazza è dedicata, mentre a piazza della Trinità operò San Filippo Neri, ricordato dalla tradizione romana con l'affettuoso soprannome di "Pippo bbono". Nella chiesa, e nell'attiguo ospizio pure intitolato alla Trinità, il grande santo oratoriano dava ricetto ai poveri che affluivano a Roma per il Giubileo del 1550. Un cronista dell'epoca riporta che riuscì ad offrire vitto e alloggio a migliaia di pellegrini diseredati. Nella stessa chiesa trovò rifugio anche Goffredo Mameli, morente per le ferite riportate difendendo nel 1849 la repubblica romana. Lo ricorda una lapide nel tempio. Regola è poi il rione di ponte Sisto, famoso tra l'altro per via dell'"occhialone" in mezzo alle arcate, che ha sempre funzionato da strumento idrometrico per fornire il livello delle piene del Tevere. Quando pioveva a lungo, e il fiume s'ingrossava, i romani dicevano: "Guarda l'occhialone de ponte Sisto e datte 'na regolata a che punto sta er fiume: si l'acqua nun c'è arivata, vo' di' che nun straripa".