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Rione XIX  Celio

 

 

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Il Celio è il rione XIX di Roma, formatosi in epoca relativamente recente, e precisamente nell’anno 1921, da una suddivisione del rione X, Campitelli. Nello stemma presenta una testa d’Africa in nero con spoglie d’elefante e spighe d’oro su uno sfondo d’argento, a memoria di un busto di questo continente rinvenuto in via Capo d’Africa.
Il colle in origine doveva avere un profilo ben più accidentato, con precipizi boschivi del tipo di quelli che ancora oggi si possono individuare a Villa Glori. Nelle propaggini di via di S. Gregorio la costituzione del terreno è facilmente individuabile in tufi granulali e litoidi, frammisti a sabbie e ad argille che danno origine ancora oggi a sorgenti che affiorano nella zona bassa della villa Celimontana e nella valle di S. Sisto, dove si trova il semenzaio comunale.
Anticamente il colle veniva chiamato Querquetulano, in quanto ricoperto interamente di querce. Venne chiamato più semplicemente Celio da Caele Vibenna, antico condottiero degli etruschi.
Il Celio fu l’ultimo dei sette colli romani ad essere stato compreso nella cerchia muraria di epoca repubblicana, che dal colle Oppio raggiungeva porta Capena.
Il Celio era attraversato da una fitta rete viaria, che tuttora conserva le denominazioni antiche; le strade principali erano la via Caelimontana e la via Tuscolana; la prima seguiva il percorso dell’attuale via di S. Stefano Rotondo, per dare quindi origine al Clivus Scauri, al Vicus Capitis Africae, oggi via della Navicella, e al Vicus Camoenarum. La via Tuscolana corrispondeva invece all’attuale via dei Ss. Quattro e passava per l’antica porta Querquetulana e sotto l’arco di Basile, prima di prendere la direzione di Municipium Tusculum.
Nel 312 a.C. il colle venne attraversato dall’acquedotto dell’”Acqua Appia” e un secolo dopo dal sotterraneo rivus Herculaneus della Marcia.
E' dal Celio che si stacca la via Appia, regina viarum, è in questo rione che prese piede la moda di erigere lungo questa strada la propria tomba, da parte dei romani più illustri. E vi si trova tra le altre quella famosissima degli Scipioni: austero monumento di cui restano le millenarie gallerie scavate nel tufo per alloggiare i sarcofagi; a cominciare da quello di Scipione Barbato, console nel 298 a.C. e capostipite della famiglia.
Al tempo di Augusto il colle divenne la seconda regione dell’Urbe. Nel 64 è l’incendio neroniano a distruggere poi tutta l’urbanizzazione della zona, dalla valle di S. Gregorio, propagandosi per quella Labicana fino alla Domus Aurea. A seguito di questo sfacelo la zona, ricostruita per volere imperiale, diverrà appannaggio esclusivo di Nerone; fatta salva, quasi a riparazione di tanta cupidigia, l’edificazione del Macellum Magnum, nel 59, dov’è ora S. Stefano Rotondo.
I Flavi, sopravvenuti a Nerone, edificarono il Colosseo, dov’era anticamente un lago, prosciugandolo attraverso ingenti opere di bonifica e di consolidamento; basti pensare all’immane zoccolo di calcestruzzo che ne forma il basamento; quindi, tutt’attorno al “colosso”, presero a sorgere magnifiche costruzioni più o meno adibite agli spettacoli che si svolgevano all’anfiteatro, connesse tra loro da cunicoli sotterranei. La zona, a seguito di questa specializzazione, s’infittì di costruzioni signorili, preziose per mosaici e opere d’arte, e Settimio Severo ripristinò l’acquedotto neroniano, che ancora oggi domina la zona, arricchendolo di archi e d’iscrizioni.
Nel 271 Roma venne minacciata dall’invasione alemanna, e Aureliano pensò di cingere la città di nuove mura difensive, essendo cadute in disuso e in rovina quelle repubblicane. Il lavoro durò cinque anni e il manufatto presentava 8 metri d’altezza più un coronamento a parapetto con merlature; lo spessore era di dodici piedi romani, mentre ogni trenta metri l’opera difensiva presentava una torre quadrata adatta ad ospitare le artiglierie, ossia le ballistae. Il Celio, a seguito di questa immane impresa, ospitò la porta Appia, che apparteneva alla prima classe dei varchi murari, data l’importanza della strada che serviva, ed era munita dunque di due fornici. La porta Latina, di minore importanza, aveva invece un solo fornice, mentre la porta Metronia, quale porta di terz’ordine e quasi “posterula”, non aveva torri proprie, ma un semplice arco in un tratto di cortina.
Ed eccoci giunti all’affermazione del cristianesimo come religione dello Stato, con l’afflusso e l’aggregazione di un clero sempre più vasto e articolato proprio nella zona del Celio, dove nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo abbiamo un primo esempio del sistema edilizio adottato dalla religione emergente, che si avvarrà, nell’elevare le basiliche e le chiese per il nuovo culto, di edifici romani preesistenti.
Nel IX secolo il Celio fu centro d’importanti e grandiosi sviluppi urbanistici, tra i quali citiamo la diaconia di S. Maria in Domnica, voluta da Pasquale I nell’817, e la chiesa dei Quattro Ss. Coronati, martiri scalpellini canonizzati da Leone IV nell’855.
Si deve a Innocenzo III, nel 1210, l’abbazia di S. Tommaso in Formis con la sua originale porta cosmatesca sormontata con un’edicola a mosaico.
La zona nel Seicento ebbe un fervore di riprese edilizie, specialmente riferite a ville e vigne. Una fra tutte nel Celio mette conto ora di citare, quella detta della Navicella, oggi villa Celimontana.
Per il resto il rione era coperto da vigne e da orti entro le linee delle superstiti vie consolari, e questa fisionomia agreste è ben rappresentata nella pianta del Nolli, che data l’anno 1748.
E’ per volere di Pio VII l’istituzione di un semenzaio alle falde del Celio, tuttora funzionante per il rifornimento dei giardini pubblici cittadini. E’ detto di S. Sisto, per via della valle omonima che lo ospita. Attualmente fa parte del servizio giardini del Comune di Roma.
Compare quindi il progetto di una zona monumentale che diverrà poi la passeggiata archeologica, a firma di Guido Baccelli, con l’influenza di Ruggero Borghi. La speculazione diede luogo a scempi notevoli, ancora oggi sotto i nostri occhi, e uno di questi in assoluto deve considerarsi l’edificazione, nel 1886, dell’ospedale militare del Celio, che distrusse la villa Casali.