Gian Lorenzo Bernini creò per il cardinale Scipione Borghese un capolavoro senza precedenti raffigurando la metamorfosi in alloro della casta ninfa Dafne, inseguita invano da Apollo, dio della luce.
L'opera marmorea in scala naturale, iniziata dal Bernini a ventiquattro anni, eseguita tra il 1622 e il 1625 era collocata nella stessa stanza della Villa, ma in origine stava su una base più bassa e ristretta, appoggiata alla parete verso la scala. A chi entrava allora, Apollo in corsa si presentava di spalle, compariva quindi la ninfa in fuga in un crescendo della sua metamorfosi: la corteccia avvolge gran parte del corpo, ma la mano di Apollo, secondo i versi di Ovidio, sotto il legno sente ancora il battito del cuore. Quindi la scena si chiude, Dafne si è trasformata in alloro per sfuggire al divino aggressore.
La presenza di tale favola pagana nella casa del cardinale fu giustificata con un distico morale composto in latino dal cardinale Maffeo Barberini (futuro Papa Urbano VIII) e inciso nel cartiglio della base, che dice: chi ama seguire le fuggenti forme dei divertimenti, alla fine si trova foglie e bacche amare nella mano.
Quando nel 1785 Marcantonio IV Borghese desiderò collocare l'opera al centro della sala, Vincenzo Pacetti gli disegnò l'attuale base utilizzando i pezzi originali, integrando con gesso il plinto del gruppo e facendo aggiungere un altro cartiglio con l'aquila Borghese, scolpito da Lorenzo Cardelli.