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MASSIMINO IL TRACE

 

 

 

 

Alto più di due metri, con una enorme potenza fisica, era in grado di trainare un carro a forza delle sole braccia, di abbattere un cavallo con un solo pugno e di frantumare i massi a mani nude. Si dice fosse figlio di un contadino goto, tale Micca, e di Hababa una donna della tribù degli Alani (cfr. Historia Augusta. aut. ignoto e Erodiano che lo definisce "Per natura barbaro nel costume come nella stirpe"). Fu il primo imperatore ad essere eletto per volontà dell'esercito avendo in precedenza percorso tutta la carriera militare da soldato semplice a generale ed il secondo Imperatore di rango equestre venti anni circa dopo la nomina ad Augusto del prefetto del pretorio Opellio Macrino (217-218).
Gaio Giulio Vero, passato alla storia come Massimino il Trace, nacque in una zona imprecisata non lontana dal Danubio probabilmente fra il 172 d.C. e il 185 d.C.
Nato probabilmente da una famiglia di rango equestre fu il primo esponente di una serie di imperatori-soldati di stirpe illirico-balcanica che cercò con la forza delle armi di difendere l'Impero dalle sempre più frequenti invasioni barbariche.
Entrato nell'esercito come un semplice soldato, Massimino emerge dai ranghi in ragione della sua forza e della sua ferocia che in breve divennero leggendarie fra i suoi compagni.
Le notizie che riguardano Massimino sono confuse e la brevità del suo regno, tre soli anni tutti passati sul campo di battaglia, non gli hanno consentito, come spesso accade a molti potenti, di costruirsi a posteriori un passato glorioso. In vita egli fu fiero avversario della classe senatoria e proprio da storici appartenenti a questa classe vennero poi raccontati gli eventi che lo riguardano, tutti tramandatici in maniera tale da mettere il Trace sotto una luce negativa di rozzo barbaro contrapposto al suo predecessore, l'illuminato, almeno per la classe senatoria, Alessandro Severo.
Da sempre fedele alla dinastia dei Severi, Massimino, che ancora adolescente era stato notato da Settimio Severo il quale ne aveva incoraggiato e poi premiato la carriera militare, conosce un periodo infelice solo sotto l'impero di Eliogabalo.
Una volta salito al potere il tredicenne Alessandro Severo, Massimino viene riportato in primo piano nei ranghi dell'esercito tanto è vero che nel 232 ha il comando di una legione in Egitto e l'anno successivo diventa governatore della provincia di Mesopotamia.
Nel 235 d.C. troviamo Massimino all'apice della sua carriera militare come generale di Alessandro Severo a Magonza per domare una rivolta di popolazioni germaniche lungo il confine del Reno. A lui l'imperatore affida il comando delle reclute. Può apparire un comando minore ma è proprio Alessandro Severo a smentirlo e a definire la stima che ha di Massimino come soldato. "Non ti ho affidato" dice l'imperatore "Massimino carissimo, il comando dei veterani, perché ho temuto che tu non potessi ormai più correggere i loro vizi... hai nelle tue mani delle reclute: fa loro apprendere la vita militare secondo il modello dei tuoi costumi, del tuo valore, del tuo impegno, perché tu abbia a procurarmi molti Massimini, così necessari per il bene dello Stato". Impressionante vero? Questa è la fiducia che Alessandro ripone in Massimino, fiducia che solo pochi mesi dopo viene ripagata con l'uccisione dello stesso Severo da parte di quelle reclute guidate e istruite, forse plagiate, dallo stesso Massimino.
Al di là della storiografia, come già detto, tutta contraria al Trace che lo dipinge come un rozzo barbaro quasi privo di sentimenti, viene spontaneo chiedersi come mai questi accetti senza alcuna remora la nomina ad imperatore e il tradimento nei confronti di colui che era pur sempre il suo comandante... Alessandro Severo è un debole. Salito al regno appena adolescente ha sempre gestito il potere in modo formale delegando gli affari di stato alla madre invadente Giulia Mamea e alla nonna, la volitiva Giulia Mesa. Con Alessandro il potere viene gestito di fatto anche dall'oligarchia senatoria che impone al principe un comitato di patres guidati dal prefetto del pretorio, il famoso giurista fenicio Domizio Ulpiano, che deve indicare ad Alessandro Severo la politica da seguire.
Massimino, invece, è un militare ed odia il Senato e la politica. Non c'è dubbio alcuno che, nonostante la sua fedeltà all'imperatore, Massimino non si sia dato pena di nascondere con i suoi soldati il disprezzo che provava. Il capo dell'esercito, l'imperatore sottoposto a ventisette anni ancora all'autorità della madre: inconcepibile! In questa atmosfera di disprezzo per Alessandro Severo devono essere state allevate le reclute fedeli solo al loro generale. Ed è per questo che, dopo l'ennesima vittoria ottenuta sotto la sua guida, proprio queste reclute proclamano Massimino imperatore.
Il campo di Alessandro Severo dista appena un miglio dall'accampamento di Massimino. Le reclute del Trace si gettano sull'imperatore che non ottiene protezione neppure dalle legioni orientali partiche che gli erano fedeli fino a pochi giorni prima. Severo fugge nella tenda della madre Giulia Mesa e fra le lacrime la rimprovera per la sua ambizione definendola come nuova Messalina. Entrambi scappano con pochi fedeli. La loro fuga è però breve, perché ben presto vengono raggiunti e trucidati.
Il Senato è colto di sorpresa e non può far altro che ratificare la volontà delle legioni.
La prima preoccupazione del generale è la guerra contro i Germani. Fra i suoi obiettivi c'è una guerra ad oltranza che sola avrebbe dovuto definire una volta per tutte la questione dei confini con le tribù germaniche. Proprio mentre era occupato in una operazione bellica al di là del Reno, scoppia la prima rivolta degli uomini fedeli ad Alessandro. Massimino, ritornato precipitosamente sulla sponda romana del Reno, soffoca nel sangue la ribellione.
Dopo poche settimane è la volta della ribellione del corpo degli arcieri di Osroene (Mesopotamia), anch'essi fedeli del vecchio augusto. I legionari ribelli eleggono imperatore un vecchio amico di Alessandro Severo, un tale Quartino. Il suo regno dura pochi giorni è lo stesso capo degli arcieri, un tale Macedonio, che, mutato parere, uccide Quartino portandone poi la testa spiccata dal busto a Massimino, il quale scandalizzato, gli riserva la stessa fine.
L'origine chiaramente senatoria di questi complotti convince l'imperatore a sostituire gli ufficiali di rango senatorio con soldati di carriera a lui fedeli. Finalmente sicuro di quanto stava accadendo dietro le sue spalle, Massimino varca nuovamente il Reno attraversando il ponte costruito dallo stesso Severo nei pressi di Magonza. Le legioni avanzavano bruciando e distruggendo villaggi, uccidendo tanto gli uomini quanto le donne e i bambini. Più volte affrontato dalle orde germaniche, spesso in situazioni di chiaro svantaggio tattico per la relativa conoscenza del territorio pieno di foreste e di paludi, Massimino le sconfigge facendo rifulgere in più di un'occasione la sua abilità militare e il suo coraggio. Che differenza dal suo predecessore doveva essere per i soldati vedere il loro comandante combattere a cavallo davanti a loro, guidando più volte lui stesso furiose cariche di cavalleria! Nonostante le perdite la campagna si conclude con un chiaro successo che consente a Massimino di fregiarsi del titolo di "Germanico". I Senatori che gli avevano conferito questo onore avrebbero forse preteso che Massimino si recasse a Roma per onorarli ma, in modo politicamente improvvido, Massimino non vi si recò mai preferendo a queste formalità il rimanere sul campo di battaglia, dove riteneva essere più necessaria la sua opera. Dopo avere trascorso l'inverno del 235 e del 236 nel centro strategico di Sirmium "il Trace" si rimette all'opera per ricacciare dietro i confini del Limes le tribù ribelli del Danubio. La campagna è lunga e anche qui, secondo il suo stile, sanguinosa, ma si conclude con un nuovo successo che consente a Massimino di fregiarsi anche dei titoli di "Sarmatico" e "Dacico". Tanta abilità militare non gli vale comunque la stima del Senato che anzi, appena può, cerca di rinfocolare le ambizioni degli avversari di Massimino. Questa volta è il turno del proconsole d'Africa Marco Antonio Gordiano, ricco latifondista, che rischiava di vedersi confiscate le terre vicino a Cartagine come già era accaduto ad altri suoi pari senatori nella stessa Roma. La politica fiscale estremamente dura fu uno dei punti deboli del governo dell'imperatore. Con la scusa delle spese di guerra sempre più onerose da sostenere Massimino aumentò le tasse in particolar modo ai più ricchi esponenti dell'oligarchia senatoria. In effetti non si può dire che avesse tutti i torti, visto che le casse dell'erario erano praticamente vuote e le guerre non davano certo i bottini che erano usuali quando Cesare conquistò la Gallia o Pompeo l'Egitto. Le tribù Germaniche erano più ricche di ferocia che d'oro. Non si può neppure dire che Massimino usasse in abbondanza dei soldi spremuti ai Senatori per ingraziarsi l'esercito con cospicui donativi. Anzi, proprio la sua rigida disciplina nei confronti di coloro che l'avevano eletto imperatore, sarà una delle cause della sua rovina.
Con un esiguo esercito, Gordiano e il figlio Gordiano Minore dapprima conquistano Cartagine, praticamente indifesa, ma devono poi soccombere al ritorno dei soldati numidi, fedeli a Massimino, guidati da Cappeliano, governatore della stessa Cartagine. Gordiano Minore, rimasto a difesa della città con pochi uomini, si batte valorosamente ma è infine sopraffatto ed ucciso . Saputo della morte del figlio, anche Gordiano si toglie la vita. Il suo titolo era durato meno di un mese.
La nomina di Gordiano ad imperatore viene abilmente manovrata dal partito senatorio a Roma che diffonde la voce della morte di Massimino. "Il Trace" è però vivo e vegeto in Pannonia e venuto a conoscenza dell'accaduto, dopo avere informato del da farsi il suo fidato luogotenente Cappeliano in Africa, si dirige a marce forzate verso l'Italia e Roma.
In mancanza del nuovo imperatore Gordiano, il Senato provvede a nominare due suoi esponenti, Marco Pupieno e Balbino, come vicari. La carica, in realtà un ibrido fra il consolato e l'impero, è frutto di una estenuante riunione dei patres per cercare di fronteggiare il pericolo incombente.
Massimino, nel frattempo valicate le Alpi, entra in Italia senza trovare resistenze ma anche senza trovare cibo per sfamare i suoi uomini. Giunto davanti ad Aquileia, fedele al Senato, chiede che la città gli apra le porte ma i battenti restano chiusi. L'assedio sembra protrarsi e piano piano la mancanza di vettovaglie e le forti perdite alimentano sempre più il malcontento fra le sue truppe.
Siamo nel giugno del 238. In un caldo pomeriggio estivo alcuni legionari della seconda legione partica facenti parte dell'esercito del Trace penetrano nella tenda uccidendo l'imperatore ed il figlio, che era stato associato al potere con la carica di principe della gioventù. La notizia giunge rapida, insieme alle teste dei due, a Marco Pupieno che si affretta a raggiungere Aquileia per premiare con una consistente somma di denaro le truppe.
Finisce così come era iniziata, dopo soli tre anni di regno, l'avventura di Massimino, il primo soldato semplice a diventare imperatore della grande Roma.