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Rostri

 

I Rostri        Ricostruzione          Ricostruzione          Veduta

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Colosseo  

All'interno del Foro Romano - Via dei Fori Imperiali

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44  46  60  54  85  87 117 175  850

 

 

 

I Rostri si presentano a noi in quella forma che venne data loro quando furono ricostruiti nel principio dell' Impero. Giulio Cesare aveva ideato di trasferire l' antica tribuna posta sul confine del Foro e del Comizio, ma solamente Augusto eseguì il disegno. All'edificio augusteo appartengono probabilmente i muraglioni di tufo bruno che sostengono i lati della piattaforma. Questi muraglioni erano incrostati di marmi: la fronte, lunga m. 23,80 = piedi romani 80, era decorata con rostri di bronzo dorato, tolti a navi nemiche. Anche ora si vedono i buchi posti a due a due, che servivano per fissare i rostri. La facciata era sormontata da una cornice di marmo, la quale sulla parte superiore reggeva una transenna di marmo e bronzo. La fronte dei rostri (con l' arco di Tiberio a sinistra) vedesi effigiata sul rilievo posto sopra l' arcata sinistra dell' arco di Costantino; la transenna vi apparisce interrotta nel mezzo della fronte, e ciò forse per potervi collocare una scala verso l' area del Foro, necessaria qualche volta per grandi cerimonie pubbliche. Sull' angolo della fronte si vedono nel rilievo effigiate due statue onorarie: due basi appartenute a statue simili erette in onore di Stilicone sul principio del sec. V d. C., furono infatti trovati in questo luogo nel 1539. Le colonne sormontate da statua che appaiono nel medesimo rilievo dietro i rostri, sorgevano sulla piattaforma stessa, oppure dietro quella lungo il Clivo Capitolino. Nel mezzo delle balaustrate laterali furono posti, al tempo di Traiano, i grandi plutei con rilievi storici descritti più sotto; dal Clivo Capitolino si accedeva alla piattaforma per mezzo di una cordonata di pochi gradini. Le dimensioni della tribuna in lunghezza e in larghezza sembrano esagerate: ma ciò spiegasi col fatto che essa non sempre era destinata al solo oratore, ma qualche volta, in occasione di grandi cerimonie, anche all' Imperatore col suo seguito. Due di siffatte cerimonie, il ricevimento di Tiridate e le esequie di Pertinace, meritano di essere qui descritte. Nel 66 d. C. Tiridate re dei Parti obbedendo alle condizioni di pace impostegli dal generale di Nerone, Domizio Corbulone, si recò a Roma per ricevere nuovamente il diadema regale e dalla mano dell' Imperatore. Nerone gli fece magnifica accoglienza, e le feste costarono, secondo Suetonio, giornalmente ottocentomila sesterzi (100 euro). La cerimonia dell' incoronazione viene descritta come segue: "Già prima dell' alba la piazza del Foro era occupata da rappresentanti del popolo romano, vestiti di bianco con corone in capo; ai lati e agli ingressi della piazza erano posti i soldati, dalle armi e delle insegne luccicanti come la folgore; innumerevoli spettatori occupavano ogni posto libero fino sul tetto degli edifizi. Al levar del sole, Nerone comparve sulla piazza in veste trionfale, accompagnato da senatori i pretoriani. Egli prese posto sui rostri, in una sedia curule. Poi Tiridate e il suo seguito, tra le file dei soldati schierati lungo la via, vennero condotti sino ai rostri, ove inchinarono l' Imperatore secondo il costume orientale. Allora il pubblico scoppiò in applausi così fragorosi, da spaventarne Tiridate che credette esser questo il segnale della sua morte. Nerone però lo fece rassicurare, ascoltò con benevolenza il suo discorso di omaggio che venne tradotto al popolo da un pretore esperto nelle lingue orientali; e, dopo avergli risposto graziosamente, lo invitò a salire sulla tribuna. Tiridate vi ascese per mezzo di una scala costruita appositamente sulla fronte dei rostri, s'inginocchiò davanti all' Imperatore e ricevette dalla mano di lui il diadema in mezzo a nuovi e fragorosi applausi dei Romani". Le esequie di Pertinace (193 d. Cr.) ci vengono descritte da un testimonio oculare, lo storico Cassio Dione: "Sul Foro Romano era stata costruita una tribuna di legno vicino a quella di pietra (= i rostri): sopra quella tribuna venne collocata un' edicola a colonne ornate d' oro e di avorio. Dentro questa edicola fu posto un letto degli stessi materiali preziosi, e coperto di porpora tessuta in oro: e sul letto l' immagine di cera di Pertinace, vestita con le vesti trionfali, dalla quale uno schiavo giovane e bellissimo con un flabello di piume di pavone allontanava le mosche, come ad uno che dorme. Per la cerimonia entrò nel Foro l' Imperatore seguito dai senatori con le nostre consorti, tutti vestiti a lutto: le donne presero posto sotto le gallerie (delle basiliche), noi altri allo scoperto. Quindi cominciò il corteo funebre: lo aprivano le statue degli antichi illustri romani; poi venivano cori di ragazzi e di uomini, cantanti un inno funebre in onore di Pertinace; indi le statue di bronzo di tutte le province soggette all' Impero Romano, rivestite del loro costume nazionale. Seguivano le corporazioni dei littori, degli scrivani, degli araldi ed altre simili; poi altri statue di uomini illustri o per le loro gesta o per le loro scoperte. Quindi soldati a piedi e a cavallo, nonchè cavalli da corsa; e poi i doni funebri mandati dall' Imperatore, dai senatori, unitamente alle nostre mogli, dall' ordine equestre, dalla cittadinanza, da corporazioni e da sodalizi. Chiudeva il corteo un' ara dorata e tempestata di avorio e pietre preziose dell' India. Sfilato il corteo, Severo salì sui rostri e pronunciò un elogio funebre di Pertinace. Il discorso dell' Imperatore fu spesso interrotto dai nostri applausi e dimostrazioni di lutto e gli applausi divennero ancor più calorosi alla fine. Quando poi il letto stava per esser portato via, noi tutti prorompemmo in pianti e lamenti. Il letto funebre fu accompagnato fino appiè del catafalco dai pontefici e dai magistrati, non soltanto da quelli in carica, ma anche da quelli designati per l' anno venturo; poi venne consegnato ad alcuni personaggi dell' ordine equestre, per trasportarlo. Noi senatori precedemmo il feretro, alcuni battendosi il petto, altri piangendo; seguiva l' Imperatore, e così il corteo si avviò al Campo Marzio, dove ebbe luogo la solenne cremazione e consecrazione (presso Monte Citorio)". Quando, sotto Settimio Severo, fu eretto il grandioso arco trionfale, anche i rostri mutarono aspetto. Fu allora aperto un ingresso diretto alla piattaforma dalla parte settentrionale. Era però impossibile addossare una scala al muro esterno della tribuna che stava quasi a contatto coll' arco. Quindi fu ritagliato una specie di cortile triangolare nel centro dell' edifizio. Un lato di quel triangolo era formato da una parete lievemente arcuata (il cosidetto 'Hemicyclium') e incrostata con marmi colorati; un altro lato, verso l' arco, venne chiuso da un cancello infisso nello stilobate del muro originario, le cui parti superiori furono demolite. Assai più tardi la facciata dei rostri fu prolungata verso settentrione: la parte nuova venne costruita di mattoni assai rozzamente; vi si vedono ancora i buchi per fissare i rostri navali. Si crede che a questo tardo restauro si riferisca un' epigrafe incisa sopra blocchi rettangolari di marmo, che hanno sulla parte superiore l' incavo per una transenna. L' epigrafe, di una sola riga molto lunga, a lettere grandi, attesta che un prefetto della città, Ulpio (?) Giunio Valentino, sotto gli imperatori Leone ed Antemio (verso il 470 d. C.), restaurò il monumento, forse dopo una vittoria navale sui Vandali. Perciò i moderni chiamano la parte nuova 'Rostri vandalici'.