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Ponte Mazzini

 

Il ponte

 

Lunghezza: 106,15 m.
Larghezza: 17 m.
3 arcate in muratura

Oltre al monumento sull’Aventino, al busto marmoreo al Pincio, il titolo di una piazza e di un viale, l’apostolo del nostro Risorgimento, Giuseppe Mazzini, è ricordato a Roma anche dal ponte, a lui intitolato, che congiunge via della Lungara con via Giulia. Approvato dal comune il progetto degli ingegneri Viani e Moretti, i lavori per la costruzione del ponte furono avviati nel 1904 e proseguirono per quattro anni per concludersi nel 1908. Così il 21 aprile dello stesso anno il ponte Mazzini venne inaugurato e aperto al traffico. In quel punto forse le chiome dei pini, dall'alto del Gianicolo, possono guardare il passaggio del Tevere. Gianicolense infatti era in un primo momento il nome di questo ponte che, dirimpettaio al carcere giudiziario posto sulla riva destra del fiume, si vide attraversare molto spesso dai vari debitori della legge.

Si racconta che nel 1600, in Trastevere, all'altezza della testata destra del ponte, viveva una certa Giulia Toffana, una megera venuta da Palermo, detentrice della formula dell'acqua toffana, potentissimo veleno, destinato a diventare famoso. La donna infatti e le malvagie femmine sue complici, spacciavano l'arte loro per carità. Pietro Sforza Pallavicini scrive: "... onde le sfortunate mogli si liberassero della tirannia degl'insoffribili mariti, senza inimicizia fra le famiglie, senza macchia sulla reputazione, e per mezzo di una morte desiderabile ad ogni sorta di cristiano, come quella che dava tempo ed agio di provvedere all'eterna salute coi sagramenti". Nella stessa arte la strega avviò anche la propria figliastra Girolama Spera, detta "l'astroliga della Longara", che la superò in bravura. L'avvelenatrice, con l'aiuto delle colleghe, addestrate alla sua scuola, riuscì a togliere di mezzo ben 600 mariti, divenuti di "peso" alle impietose mogli. Ma il mistero dell'"astroliga della Longara" non durò a lungo. Un giorno una donna, avvelenatrice del proprio marito, si andò a confessare tutta presa dal pentimento. Il prete le fece promettere di denunciare il peccato anche al bargello: solo così sarebbe stata assolta e avrebbe addirittura guadagnato l'impunità. Girolama venne allora acciuffata con l'inganno: la moglie del bargello le chiese, fingendo, d'intervenire per far fuori il proprio consorte. All'atto della consegna dell'acqua toffana, però, la fece cogliere di sorpresa dagli sbirri che seduta stante la portarono via con il corpo del reato che le era rimasto in mano. Il processo contro di lei e le sue 46 complici ebbe inizio il 31 gennaio 1659. Sei di esse furono condannate alla forca e nel gruppo c'era naturalmente anche Girolama Spera. Giacinto Gigli nel suo diario così registra in data 5 luglio 1659: "Sabbato doppo pranzo furono fatte morire impiccate cinque donne in Campo di fiore, le quali nelli anni passati nel tempo del contaggio havevano dispensato carafe di acqua distillata con veleni di arsenico et solimato per far morire la gente con la quale acqua molte donne havevano ucciso li mariti et altri loro parenti delle quali donne ne furno molte murate nelle carcere delle inquisitione". Si racconta che l'"astroliga della Longara" fu l'ultima ad essere impiccata e per molto tempo il boia dovette restare appeso ai piedi della donna e farsi ballonzolare dalle contrazioni spasmodiche del corpo: era la disperata lotta con l'agonia tra altri corpi penzoloni, irrigiditi dalla morte.