Fra
le molteplici opere che dobbiamo attribuire al pontefice Sisto
V Peretti, ve ne è una della quale andò talmente orgoglioso
che volle dargli il suo nome: l'acqua Felice, che egli portò a Roma
ripristinando l'acquedotto Alessandrino. Questa fontana ne è veramente
l'altare, davanti al quale ci troviamo in rispettosa osservazione
comprendendo che si tratta della mostra della famosa acqua
dell'altrettanto famoso ed orgoglioso papa. Come possiamo non ricordarlo
con tutto quello che ha fatto, se ancora oggi abbiamo davanti gli occhi
quella che sembra essere nata più come pretesto per sostenere la grande
iscrizione commemorativa che per dare al piacere di tutti una bella
fontana. Sembra che con il suo ammasso di linee sproporzionate non sia
esattamente quella che si possa definire una delle più belle di Roma,
dato che appare in così forte contrasto anche con il nome dell'acqua
che porta, dato che potrebbe benissimo chiamarsi "infelice". A
questo punto, il minimo che possiamo fare è leggere almeno l'iscrizione
traducendola debitamente dal latino: "Sisto V Pont. Mass. Piceno
condusse acqua raccogliendone sulla sinistra della via Prenestina
mediante un tortuoso condotto lungo venti miglia dal ricettacolo e
ventidue dalle sorgenti e la chiamò Felice dal proprio nome precedente
il pontificato". Questa è comunque altrettanto nota come la
fontana del Mosè prendendo il nome dalla statua scolpita da Leonardo
Sormani nel 1588, aiutato da Prospero Antichi da Brescia. Il disegno
dell'opera lo dobbiamo a Domenico Fontana. In un primo tempo venne
realizzata solo la struttura essenziale senza i quattro leoni, il Mosè,
Aronne e Giosuè. E' per abbellirla, con queste sculture, che Domenico e
Giovanni Fontana vennero autorizzati, come di consueto in quel periodo,
a far man bassa dei marmi e delle pietre degli antichi monumenti.
L'ispirazione per il Mosè pare dovesse venire da un disegno che
Michelangelo aveva fatto per una fontana (poi mai realizzata) da porsi
in Vaticano. Sisto
V appioppò la bella responsabilità di emulare Michelangelo
al povero Sormani, che cercò di farsi coraggio con l'aiuto di Prospero
Antichi. A proposito di quest'ultimo, si tramanda un simpatico aneddoto
che ha fatto credere per molto tempo che egli fosse il vero autore del
mastodontico Mosè. Si racconta che fosse talmente orgoglioso e sicuro
di scolpire un nuovo capolavoro, che cominciò a lavorare l'enorme cubo
di marmo senza ascoltare consigli e giudizi di amici, o di chiunque
rimanesse stupito dalle proporzioni esasperate dell'opera che ne
emergeva. Finita la fatica, gli cadde improvvisamente il velo dagli
occhi e, riuscendo a guardare, finalmente in modo critico il suo
operato, ne provò tanto orrore che ne morì. Dai registri di pagamento
della camera apostolica, ci viene comunque la verità, e cioè che
l'autore dell'orrore fu senz'altro Leonardo Sormani, solo aiutato in
parte dall'Antichi. Non ci risulta nemmeno che la delusione abbia
causato la morte ad alcuno dei due. Dai documenti risulta che Domenico
Fontana aveva pattuito di dare 1000 scudi per la realizzazione di detto
Mosè e prima ne dette 550 ai due scultori in data 28 gennaio 1588,
mentre il 16 settembre dello stesso anno, 450 scudi vennero dati in
saldo solo al Sormani: "Per resto et intero pagamento di scudi 1000
che se li paga per la statua del Moyse da esso fatto d'ordine nostro,
posta alla fontana dell'acqua Felice". Certo ne è venuta fuori una
statua non esattamente michelangiolesca ma comunque mastodontica
sviluppando oltre quattro metri di altezza comprese le corna luminose
sulla fronte. Sotto la direzione del Fontana, furono dunque eseguite le
altre sculture ad opera di vari artisti, non per i quattro leoni
gettanti acqua già scolpiti da ben più antichi autori e che furono
prelevati da zone diverse. I due laterali di porfido provengono dalla
piazza del Pantheon
e gli altri due di marmo vengono dai fianchi della porta di S.
Giovanni in Laterano. Vennero comunque fatti sostituire tutti
nell'800 da papa Gregorio
XVI con delle copie. Gli originali sono tuttora nei Musei
Vaticani. |