ROMA SPQR

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S. Giacomo in Augusta La chiesa

Dove si trova

Via del Corso,  499

063219419

Entra nella chiesa

M

Flaminio - Spagna

BUS

52  53  61  71  85  119  160  850

 

La storia della chiesa è indissolubilmente legata a quella dell’o­monimo ospedale (dove per la cronaca è nato il sottoscritto webmaster), detto «in Augusta» perché sorto in prossimità del Mausoleo di Augusto nel 1339, a opera del cardinale Pietro Co­lonna, per accogliere i pellegrini che giungevano a Roma dalla via Flaminia, per porta del Popolo, in una zona ai margini dell’abitato, che fino alla metà del Cinquecento terminava all’altezza di S. Lorenzo in Lucina. Tutto l’insieme fu ricostruito a partire dal 1583 per opera di Francesco da Volterra, alla cui morte subentrò Carlo Maderno, che completò la chiesa nel 1602. La facciata, amplissima e altissima, è dovuta al primo per l’ordine inferiore, al secondo su disegno del primo per l’ordine superiore, ed è anch’essa un’applicazione dei ca­noni artistici e liturgici della Controriforma sanciti dal Concilio di Trento (dall’interno dell’ospedale si può ammirare la bella parte absidale e le grandiose volute che sostengono la spinta della cupola). L’interno della chiesa è a pianta ellittica, con tre cappelle per la­to, di grande vastità e spaziosità; gli affreschi della volta sono tardo-ottocenteschi. E’ da notare la preziosità degli arredi, tra cui i confessionali settecenteschi; nella seconda cappella destra, Adora­zione dei Pastori, pala d’altare di Antiveduto Grammatica (1624). La cappella maggiore possiede un grandioso altare in marmi pregia­ti, oltre a preziosi lavori di ebanisteria secentesca; la seconda cap­pella sinistra (dei Miracoli) è di grande ricchezza, con una pala scul­torea d’altare opera di Pierre Le Gros (1716) raffigurante la Ma­donna dei Miracoli e S. Francesco di Paola; in una edicola la Ma­donna col Bambino, detta dei Miracoli, immagine quattrocentesca un tempo in una torre delle Mura Aureliane. Notare nel battistero una Resurrezione, splendida tela di Cristo­foro Roncalli detto il Pomarancio, i cui valori cromatici sono di tarda eredità manierista. Ai lati della facciata della chiesa prospettano le due testate dell’o­spedale, risalenti, come tutto l’insieme, alla ricostruzione decisa in forme sontuose da papa Gregorio XVI, che ne incaricò l’architetto  Pietro Camporese, il quale eseguì l’opera negli anni 1842-1844, in un gusto che è quello proprio dell’architettura di metà Ottocento a Roma, al passaggio da un tardo neoclassicismo alle esercitazioni di stile neo-cinquecentesco. La facciata principale dell’ospedale prospetta su via Antonio Ca­nova, che prende il nome dalla presenza, all’angolo con via delle Colonnette, dello studio dove il Canova eseguì le sue sculture dal 1784 all’anno della morte, il 1822. Nella muratura piuttosto spoglia sono inseriti una grande quantità di frammenti scultorei antichi, probabilmente dallo stesso Canova. L’estremità opposta dell’ospedale si affaccia su via di Ripetta, dove è anche la piccola chiesa che un tempo era dì pertinenza del cimitero dell’ospedale qui situato e che ha il nome di S. Maria por­tae Paradisi. Questa chiesa nell’aspetto attuale risale a una ricostruzione ef­fettuata nel 1523 da Antonio da Sangallo il Giovane, ed è un picco­lo gioiello di architettura rinascimentale. Sopra il portale, una Ma­donna col Bambino, scultura di Andrea Sansovino (1509); l’inter­no, a pianta ottagonale, è stato ristrutturato da Giovanni Antonio de Rossi (1645), con una ricca decorazione a stucchi, opera di An­tonio Naldini. Ai lati dell’altar maggiore i monumenti funebri dì Matteo Caccia, opera di Cosimo Fancelli (1645) e di Antonio di Burgos, opera di Baldassarre Peruzzi (1526); nella cappella sinistra, Gesù e i SS. Giacomo, Giovanni Evangelista e Maria Salomè, alto­rilievo marmoreo del Fancellì (1645). La sistemazione ottocentesca del quartiere attorno all’ospedale comprese anche, sempre all’epoca di Gregorio XVI (1831-1846), la costruzione sul lato opposto della via di Ripetta, dell’Accademia di Belle Arti, anche questa a opera dell’architetto Camporese (1845).