Auditorium di Mecenate

                     

Largo Leopardi - Esquilino     M Vittorio      BUS  16  714

da mar a sab 9.00-19.00 (1 apr/30 set) 9.00-17.00 (1 ott/31 mar) dom e festivi 9.00-13.00  Tel. 066990110

 

La scoperta dell'Auditorium di Mecenate avvenne casualmente nel 1874, nel corso dei lavori per l'apertura della nuova via Merulana e dell'adiacente Largo Leopardi (nella zona precedentemente occupata dalla Villa Caetani). L'aula absidata che fu allora riportata alla luce faceva parte di un complesso assai più ampio, disposto a cavallo delle Mura Serviane, che fu subito demolito.
Si conservò invece il cosiddetto auditorium, un'aula absidata lunga complessivamente m 24.20, della quale si possono distinguere quattro parti: una sorta di vestibolo a sud-est, che ha l'aspetto di una sala rettangolare larga m 13,20 e lunga m 5,70; l'aula vera e propria, larga m 10,50, lunga 13,20; l'esedra a gradini, il cui raggio è di m 5,30; infine, la doppia rampa di accesso, a sud-ovest, larga m 2,27. Il complesso, che anche in antico era semisotterraneo, è costruito interamente in reticolato di tufo di modulo piuttosto piccolo (cm 6,5) e quindi relativamente antico. Tre ingressi permettevano di accedere al vestibolo: quello a sud, ancora utilizzato, si apriva sulla rampa, mentre gli altri due (quello di fronte al primo, a est, e quello al centro della facciata, a sud-est, connesso con una scalinata), richiusi dopo lo scavo, mettevano l'aula in comunicazione con gli ambienti circostanti. La copertura doveva essere a volta, a giudicare almeno dal grande spessore dei muri (m 1,93). Forse in essa erano ricavate alcune aperture, come sembrerebbe dimostrato dai resti di vetri da finestra scoperti al momento dello scavo. All'esterno dovevano emergere solo la volta e la sommità dei muri.
Nella sala rettangolare si aprono sei profonde nicchie per parte - tra di esse si notano alcuni restauri antichi in mattoni -. La decorazione pittorica, assai ben conservata al momento della scoperta, è oggi in parte svanita. Le pareti sono dipinte in rosso; sopra le nicchie corre un fregio a fondo nero, alto 27 centimetri, con figure di animali dipinte a colori più chiari. L'interno delle nicchie era decorato con riproduzioni realistiche di giardini. Nell'angolo ovest si possono riconoscere due pavimentazioni successive: Quella originaria, realizzata in fine mosaico con due strisce rosse, e quella più tarda, in lastre di marmo giallo antico e bigio. A quest'ultimo si sovrappone un ampliamento in mattoni dell'esedra, che quindi è ancora successivo. L'esedra è occupata da sette gradini molto stretti, il più basso dei quali ha inizio a m 1,10 dal pavimento. Come si è detto, essa fu ampliata più tardi con un muro in mattoni largo 80 centimetri. I gradini erano coperti di lastre di cipollino, delle quali restano tracce. Al di sopra di essi si aprono cinque nicchie, meno profonde di quelle della navata, anch'esse decorate da pitture di giardino, sotto le quali corre un fregio a fondo nero con figure di animali e di cacce, a continuazione di quello della navata. La parte alta della navata stessa e dell'esedra era decorata con ampie campiture e sottili candelabri vegetalizzati.
L'edificio, nella sua prima fase, è databile verso la fine della Repubblica, mentre la decorazione pittorica di terzo stile (simile a quella della Villa di Livia a Prima Porta) appartiene alla seconda fase, di piena età augustea. Il complesso va certamente identificato con una parte della villa di Mecenate sull'Esquilino.
Sappiamo da Orazio e dai suoi commentatori che per la costruzione di questa villa fu ricoperto il malsano cimitero dei poveri, che allora occupava questa zona dell'Esquilino, e venne parzialmente livellato l'Agger delle Mura Serviane. Sulla facciata verso la via Leopardi sono infatti ancora incastrati alcuni blocchi di tufo di Grotta Oscura, che appartenevano alle mura repubblicane. Anche la data di costruzione dell'edificio con quella della Villa di Mecenate, che si deve porre tra il 40 e il 30 a.C. L'identificazione è definitivamente confermata dalla scoperta, accanto all'edificio, di una fistula acquaria di piombo con il nome di Cornelio Frontone; sappiamo infatti (Epistola I, 8) che questo celebre maestro di retorica dell'età adrianea era venuto in possesso degli Horti Maecenatis, evidentemente cedutigli dall'imperatore. Alla sua morte, Mecenate aveva lasciato la sua villa ad Augusto. Certamente allora furono eseguiti gli affreschi di terzo stile: forse al momento in cui Tiberio, di ritorno dal suo esilio di Rodi, nel 2 a.C., andò ad abitarvi.
Quanto alla funzione dell'ambiente, non è forse del tutto da scartare l'originaria identificazione con un auditorium o un odeon, anche se i gradini sembrano un po' piccoli per ospitare degli spettatori seduti. La presenza di un'iscrizione con i primi due versi di un epigramma di Callimaco, in cui si accenna al convito, ha fatto anche pensare che si trattasse di una cenatio, sala da pranzo estiva. L'ipotesi più comunemente accettata, considerata la situazione semisotterranea dell'edificio e il carattere della decorazione, è che si tratti di un ninfeo: si è pensato anche che le gradinate servissero per sorreggere vasi da fiori.
Gli horti di Mecenate sono i più antichi realizzati sull'Esquilino, a spese dell'antica necropoli della città: essi costituivano probabilmente un ampliamento del più antico possesso del potente "ministro" di Augusto, situato più a sud, dove più tardi furono costruite le terme di Traiano. I limiti ne erano dunque compresi tra queste ultime, la Porticus Liviae e il clivus Suburanus, mentre non è chiaro fino a che punto essi si estendessero a est delle Mura Serviane. A est degli Horti Maecenatis furono successivamente creati gli Horti amiani, probabilmente a opera del console del 3 d.C., L. Elio amia, passati in seguito a Caligola, che vi abitava sovente; adiacenti erano gli Horti aiani, poi passati a Nerone, che vi fece esporre un suo gigantesco ritratto dipinto su lino che, secondo Plinio il Vecchio (N.H., XXXV, 51), misurava ben 120 piedi (m 35). Gli Horti Lamiani si dovevano estendere a nord fino all'altezza di Piazza Vittorio Emanuele; a essi doveva appartenere la Diaeta Apollinis, conosciuta da un'iscrizione, e nella quale erano forse esposte le statue dei figli di Niobe, uccisi da Apollo e Latona, scoperte nei paraggi di Piazza Vittorio (ora conservate al Museo degli Uffizi, a Firenze). Recentemente, la PyDiaetaPy è stata identificata con un grandioso complesso, scoperto dagli scavi della fine dell'800 tra Piazza Dante e via Emanuele Filiberto e in seguito demolito.
Un cippo di limitazione, trovato al suo posto tra via Principe Umberto e la stazione Termini, permette di localizzare con precisione gli Horti Lolliani, creati forse da M. Lollio, console nel 21 a.C., o da sua figlia Lollia Paullina.
Sempre all'inizio dell'Impero si devono attribuire gli Horti Tauriani, proprietà della potente famiglia degli Statilii Tauri. Anche in questo caso, la scoperta di un cippo di confine, che segnava il limite tra i primi e gli Horti Calyclani, permette di riconoscerne nella via Mamiani il limite nord. Essi si dovevano estendere moltissimo a est, lungo la via Labicana, fino all'attuale PortaMaggiore: a giudicare almeno dalle tombe dei liberti della famiglia, trovate immediatamente all'interno della porta. Entrambi nel demanio imperiale all'epoca di Claudio, i giardini passarono successivamente ai due ricchissimi liberti di Claudio e Nerone, Pallante ed Epafrodito (e assunsero così il nome di Horti Pallantiani, più a nord, nei pressi della via Tiburtina, e Horti Epaphroditiani, da collocare immediatamente a ovest della Porta Maggiore). Nel corso del periodo giulio-claudio, quindi, tutti questi giardini finirono col passare al demanio imperiale, formando così un unico, immenso parco, che andava a collegarsi con le altre proprietà imperiali del Quirinale e del ncio. E' questo il caso, ad esempio, degli Horti Liciniani, appartenenti all'imperatore Gallieno, che dovevano occupare l'area a nord della via Labicana, compresa entro le Mura Aureliane: l'iscrizione dedicata all'imperatore, incisa sulla Porta Esquilina, indica forse che quest'ultima era divenuta una sorta d'ingresso ai giardini, di cui fa parte il grande edificio decagono, noto con il nome di "Tempio di Minerva Medica".
L'urbanizzazione dell'Esquilino alla fine del secolo scorso ha restituito una enorme quantità di opere d'arte, appartenenti a queste ville, la maggior parte delle quali è esposta nel Museo dei Conservatori, sul Campidoglio.